“Arteggiamoci” come Tullet Hervé
esperta esterna: Micol Blanchard
Una proposta per realizzare arte collaborativa seguendo i suggerimenti di
noi siamo partite dal libro ” un gioco” edito da Panini
video del laboratorio
Intervista con Hervé Tullet, autore di albi illustrati per bambini
Come si legge un albo illustrato coi fori per le dita nelle pagine?
E un libro dove puoi specchiarti, accarezzare un disegno peloso o usare tutti i sensi per scomporre e ricomporre storie e mondi infiniti?
Due modi ci sarebbero, ed entrambi prevedono ricette un po’ magiche, che non tutti gli adulti ricordano di conoscere.
Uno: inventando, e due: tornando bambini.
Dal ’94 l’autore francese Hervé Tullet ha ideato e disegnato più di 60 albi illustrati per bambini in modo rivoluzionario. Come? Mettendo nelle loro mani non una storia, ma un mondo tattile, giocoso e interattivo. Pagine piene di idee su cui ognuno può costruire un racconto diverso, e su cui Tullet stesso propone letture-spettacolo per gruppi fino a 250 bambini.
Oggi, 1° febbraio, Hervé inaugura la mostra “Jeux de Notes” al Centre Culturel – Centre de Créations pour l’Enfance di Tinqueux. Un’iniziativa ricchissima, davvero rara, tutta dedicata ai bambini, all’interno di una struttura d’eccezione. Qui l’autore presenterà uno spettacolo di marionette con protagonista uno dei suoi personaggi più famosi, Turlututu; una mostra ispirata al libro e alla serie animata “Blop!”; un atelier e soprattutto una gigantesca installazione musicale e interattiva dove sbizzarrirsi in giochi tra note, punti, linee e scarabocchi colorati.
Da illustratore di libri per bambini a autore-illustratore. Com’è avvenuto questo passaggio?
Lavoravo come illustratore su commissione, ma è stata dura perché credo di non aver mai disegnato bene. Da illustratore cercavo di esprimermi sempre con stili diversi. Credevo che avere un solo stile fosse sbagliato, così ho sperimentato molto e ho imparato cosa signica avere qualcosa da dire e come dirla.
Negli anni 90, i libri di illustrazione per bambini erano qualcosa di nuovo. Gli editori buoni si contavano su due dita. C’era molto da esplorare: così ho iniziato a pensare a idee da proporre. Quando le presentai a un editore mi dissero che non stavo facendo un libro d’illustrazione, ma un libro per bambini. Era vero, avevo trovato uno stile che funzionava bene per quel genere di libro, ma ancora mi sembrava infantile e piatto.
Quando hai trovato davvero il tuo stile?
Jean-Louis Dumas, il capo di Hermes, mi domandò di fargli un lavoro di textile design e un lavoro grafico per un catalogo, con 2 stili fra loro opposti. Non avevo mai fatto qualcosa del genere prima. Così ho utilizzato lo stesso stile dei miei libri per bambini. Il lavoro non fu accettato, ma almeno avevo trovato la mia voce unica, invece di molte. Avevo capito che quello ero io. Così ho dato forma al libro “Cinque Sensi”, che è l’unione di tutti i miei stili in un’opera sola.
Che rapporto hanno i bambini coi tuoi libri e cosa ti interessa di più del loro modo di percepire?
I bambini sanno già tutto e non hanno pregiudizi. Più sono piccoli e più sono aperti. Tutto è comprensibile e lo puoi comunicare loro con un vasto repertorio di linguaggi. Basta mostrar loro poco perché diventi l’inizio di qualcosa di nuovo.
Ci fai un esempio?
Il libro Little Blue and Little Yellow, di Leo Leonni, è un’idea bellissima nata da pochi pezzettini di carta durante un viaggio in treno.
Me l’ha raccontata un nipote di Leonni, con cui ero riuscito a incontrarmi. Disse che suo nonno e suo padre dovevano viaggiare spesso in treno da una città all’altra negli Stati Uniti e che il nonno, per non fare annoiare i due figli, iniziò a pensare a un gioco, con dei pezzettini di carta strappati da una rivista. Fu così che nacque l’idea del libro. Un giorno un editore di New York la vide e la pubblicò.
Adoro questa storia perché nasce dal caso. Da quello che so, Leonni non voleva nemmeno fare un libro per bambini o pubblicarlo. Credo sia stato un peccato che Lionni abbia esordito con il suo capolavoro.
C’è sempre un tocco di magia nei tuoi libri, oppure un invito a interagire, come nel libro “Il gioco di ‘andiamo’ “. Come concepisci i tuoi libri, qual è il trucco?
Il trucco è non avere regole. In un certo senso credo che i miei libri siano incompleti e che il lettore debba trovare il suo modo di leggerlo. Devi mettere qualcosa di tuo e raccontare la tua storia. Se non lo fai, il libro non funziona. Questo richiede energia, ma ci riesce si sentirà orgoglioso di se.
Ho realizzato solo un libro, normale “Un Libro” che si legge semplicemente sfogliandolo. È il mio best seller e ha venduto 700mila copie, finora. Il mio editore americano mi ha detto è il mio libro più classico, e in un certo senso ha ragione. In questo libro non devi fare nulla: ti mette a tuo agio, gli altri no.
Che relazione cerchi di costruire con i bambini durante le tue performance?
Comincio sempre chiedendo: “Allora, che si fa?”. Ciò significa mettersi sullo stesso piano per lavorare insieme. All’inizio non sono il capo. Dopo però il rapporto cambia e io divento una specie di direttore con un’orchestra numerosa e rumorosa, da 50 a 250 bambini. È una specie di performance teatrale, dove improvviso e stimolo molto. Richiede un po’ di tempo, 4 o 5 azioni, ma non mi preoccupo. Questo è un punto molto importante: cerco sempre di mettermi a mio agio. Se qualcosa non va, chiedo: “E adesso che facciamo?”. E dall’incertezza nasce sempre qualcosa di nuovo e sorprendente.
Quali sono le difficoltà maggiori durante una performance? L’ultima volta, in India, ho avuto un gruppo di 250 bambini e ragazzi, dai 7 a 15 anni. Solo la metà parlava inglese, il resto Hindi. Come sempre, ho preso il megafono e ho improvvisato. All’inizio si sentono un po’ persi, poi trovano la loro libertà e alla fine disegnano senza tregua. Il risultato è impressionante: un grande disegno collettivo dove ognuno ha contribuito con il suo pennello e i suoi colori. La cosa incredibile è che funziona sempre e dappertutto.
Per te cosa significa improvvisare?
Ti sembra di precipitare, che tutto è complicato, senti di non avere idee. Ma c’è sempre qualcosa che ti salverà. Trovi sempre spazio per la sorpresa, e prima di tutto sorpresa per chi improvvisa.
Prima di illustrare e di lavorare ai libri per bambini, hai lavorato nella pubblicità e nella comunicazione. Cos’hai imparato da quel mondo? A 20 anni non ero un illustratore e non avevo personalità. Grazie a quel mondo ho imparato cosa significa lavorare dalla mattina alla sera, cos’è una riunione, una commissione e una scadenza.
Negli anni 80, fare pubblicità era un mestiere interessante. A differenza di oggi, non era un settore dettato solo dal marketing e dai numeri, ma dalla creatività. Oggi gli equilibri sono cambiati: allora eravamo noi creativi a concepire le idee, oggi i clienti ti chiedono quasi solo di sviluppare tecnicamente una loro idea.
Sono un romantico e ho sempre desiderato cambiare il mondo. La pubblicità in quel momento era una frontiera tutta da esplorare, e avevo l’impressione che potevamo cambiare il mondo con la forza delle idee, per cui ho sempre avuto passione. Ma quando ho capito che non era possibile, ho deciso di cambiare carriere e di fare l’illustratore.
Oggi sono contento di poter lavorare liberamente ai miei libri e sono orgoglioso di poterlo fare con dei grandi editori che contano su di me in quanto creativo e non prodotto.
Lavorare per i bambini per te significa ancora continuare a credere di poter cambiare il mondo?
L’unica cosa che so è che durante ogni incontro succede sempre qualcosa. Vado avanti con costanza per costruire qualcosa. Per esempio, da un po’ seguo una scuola di orfani in Malawi, dove vado una volta l’anno.
Qual è il tuo libro più personale?
Credo sia “Cinque Sensi”. Lo uso raramente nelle scuole, perché parla di me. È un libro rivolto a un singolo bambino e non a un’audience.
Qual è il tuo rapporto con i tablet e gli e-book?
Un libro è un libro, un tablet un tablet. Chi vuole fare un e-book, dovrebbe creare qualcosa di specifico per il formato digitale.
Infatti nella app “Press Here” hai preso spunto dal libro originale per creare una serie di giochi.Non ha senso creare una copia digitale di un libro per un tablet. La mia app di “Press Here” è una variazione del libro. Le app ruotano intorno all’interazione, anche se per ora i tablet non ne permettono molta. I miei libri sono pensati per essere interattivi a lungo, quindi non credo necessitino di diventare e-book per renderli più interessanti.
E se dovessi giocare creativamente sul media tablet?
Dei tablet mi piace il fatto che permettono l’immersione, la profondità: ti ci puoi perdere dentro. Ma finora vedo app che scimmiottano le pagine da sfogliare. Mi piacerebbe sperimentare con ogni media, non solo coi tablet.
Nel corso della tua carriera creativa, com’è cambiato il tuo modo di rapportarti alle nuove idee che ti vengono in mente?
Una volta, quando mi veniva un’idea, la tenevo per me e non volevo mostrarla. Ma la verità è che più dai, e più ricevi. Funziona in ogni aspetto della vita, e anche nel mondo delle idee. Oggi, appena ho un’idea, voglio liberarmene subito. Per trovarne così una nuova il prima possibile.
I tuoi prossimi progetti, oltre alla mostra a Tinqueux?
Sto per pubblicare un nuovo libro, dei libri game e I am Blop con Phaidon, oltre a delle ristampe.
Ma il progetto più grande sarà una mostra nel 2014 a Villa Savoye, disegnata da Le Corbusier.
La nostra rivista prova a raccontare l’eleganza nelle sue varie forme: qual è la tua idea di eleganza?
Non dimenticarsi di dire “grazie”.
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